Dal 20 al 23 febbraio scorso si è svolto a Bologna il XV convegno nazionale di pastorale giovanile dal titolo “La cura e l’attesa. Il buon educatore e la comunità cristiana”. I congressi sono un’ottima occasione di discussione, dai quali cogliere spunti di riflessioni, elementi da trasportare nelle nostre realtà e attraverso i quali provare a trasformarle. Tra le relazioni del convegno risulta sicuramente interessante la ricerca IPSOS sugli oratori condotta da Nando Paglioncelli e presentata da Marco Moschini, direttore del corso di perfezionamento, progettazione, gestione e coordinamento dell’Oratorio, presso l’Università di Perugia. I centri giovanili non sono esattamente oratori, lo sappiamo, ma sappiamo anche che gli elementi in comune sono tanti, per cui ci sono diversi elementi che possiamo utilizzare anche noi.
Il primo elemento è la necessità di un coordinamento tra le realtà presenti nello stesso territorio, presente solo nella metà delle realtà italiane; ma di questo ne abbiamo parlato la volta scorsa.
Dalla ricerca risulta come sia richiesta a gran voce una “maggiore formazione”. La caldeggiano il 74% degli interpellati che vorrebbero dunque poter disporre di strumenti per lavorare meglio nelle loro comunità. Tema importante, perché non ci si improvvisa educatori; non è facile saper trascorrere il tempo con dei ragazzi, giovanissimi o giovani, non è facile fare proposte accattivanti, non è facile rapportarsi in maniera credibile e stabilire relazioni sincere.
In Italia c’è una piccola percentuale di realtà considerate “poco attive”, ovvero organizzano pochi eventi; questo non riguarda sicuramente i centri giovanili, perché sappiamo bene come le presenze non sono mai scontate come può accadere negli oratori tradizionali (luoghi storicamente dedicati) motivo per cui la strategia della proposta continua di iniziative ed eventi è una delle modalità principali utilizzate. Diversa è la qualità della proposta. Ma Paglioncelli va oltre, sottolineando come “le attività da sole non bastano senza un progetto condiviso tra varie figure educative”. Da questa frase sono due gli elementi da evidenziare: il primo riguarda appunto la necessità di un progetto ad ampio raggio, una visione d’insieme delle iniziative che non faccia navigare a vista. La progettualità deve diventare pane quotidiano per gli operatori di un Centro Giovanile. Il secondo invece torna al discorso iniziale della formazione, si deduce quando usa il termine “varie figure educative”, proponendo in maniera neanche troppo velata come non basta (a dir la verità anche perché non ci sono…) avere il sacerdote e qualche educatore, ma è necessaria la presenza di figure educative vere e proprie come psicologi, sociologi, pedagogisti per far fronte a esigenze sempre più complesse, o quantomeno gli educatori devono poter acquisire una parte di queste competenze attraverso corsi di formazione specifica. E tutto questo non può essere fatto ovviamente solo con il volontariato.
Chiarissima la conclusione dello stesso Paglioncelli: “Tutti ormai sono consapevoli che per affrontare il mondo giovanile/adolescenziale non basti solo la buona volontà.”